Giocare poco e farlo in partite ininfluenti non è l’ideale per un calciatore, ma è spesso la dura vita dei rincalzi nelle grandi squadre. Farsi trovare sempre pronti è un obbligo, ma tra il dire e il fare c’è spesso una psicologia non semplice da gestire. Si pensi a Daniele Rugani, il quarto centrale della gerarchia di Allegri alla Juventus, e in campo da titolare a Berna nell’infausta gara persa contro lo Young Boys.
L’ex empolese non ha neppure demeritato, ma la sconfitta resterà nei tabellini: “Dobbiamo imparare la lezione da questa gara perché ci saranno tante partite durante l’anno che sulla carta sono facili ma il campo è diverso – ha detto il centrale toscano al termine della gara dello ‘Stade de Suisse’ – Merito agli avversari, ma noi non siamo stati gli stessi” ha detto Rugani, che non ha potuto poi sottrarsi alle domande sulla propria situazione, pochi giorni dopo il clamoroso sfogo del padre Ubaldo sui social (“Tra poco questa situazione finirà”).
E le parole di Rugani, che in estate era stato vicinissimo al Chelsea di Sarri, sembrano avere come destinatario proprio il tecnico livornese…: “Io sono sempre stato abituato ed educato così, ad allenarmi forte e dare il massimo sempre, a parlare poco e dimostrare con i fatti. Poi c’è un allenatore che fa le scelte, io rispetto tutti, sono un professionista. Io mi sento pienamente addosso questa maglia perché so di meritarmela, so il giocatore che sono e penso di averlo dimostrato in questi anni. Poi c’è chi non lo vuole vedere, ma io vado avanti e faccio parlare i fatti. L’allenatore fa le proprie scelte”.
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